Marco Giovenale

Il piccolo libro di prose che Giulio Marzaioli pubblica nella collana ChapBook delle edizioni Arcipelago, intitolato Voci di seconda fase, fa riferimento al progetto – appunto in “fasi” – iniziato dall’autore circa due anni fa con la plaquette Moduli di prima fase (La camera verde) e proseguito recentemente con un ulteriore segmento, non cartaceo ma online: Fusione di terza fase (http://www.fusionediterzafase.it), opera costituita da un video – a cura di Michele Zaffarano – in cui compaiono frammenti in asincrona lettura d’autore, provenienti dai precedenti passaggi della macro-opera testuale.

Come è esattamente configurato il progetto? Quello delle Fasi è un lavoro che si struttura (e destruttura – e riplasma) nel tempo. È un’installazione verbale che agisce sui propri elementi ricombinandoli, riconfigurando sé a ogni nuova uscita. Il primo libro, con le prose del citato Moduli, era costituito da frasi e cellule nominali ripetute, variate, mutanti. La seconda fase, quella appunto del libretto di nuove prose brevissime intitolato Voci, pubblicato da Arcipelago, ha portato Marzaioli a confrontarsi non più (non solo e non tanto) con le tecniche di cut-up e riscrittura che pure connotavano i Moduli, ma addirittura con una perdita di identità soggettiva, autoriale, dello scritto. Le “voci” che intervengono sono infatti  – in lacerti e accenni – quelle che l’autore ha intervistato, registrato e trascritto, per poi montarle riducendo drasticamente (ma non interamente) la propria azione appunto autoriale, ‘creativa’, assertiva. Marzaioli è partito da quei materiali, astratti in termini di contesto ma concretissimi in termini di vissuto, per aggirare tanto il mito del soggetto scrivente quanto quello della “prosa con trama”, centrata, o “con contenuto” rigido tutto decodificato, esplicitabile.

Incontriamo così, nelle Voci, identità multiple, sincere, di cui si dà resoconto, e che allo stesso tempo mancano (assai produttivamente) di quella iperdefinizione da blu-ray narrativo che sembra il portato, il limite e la marca di triste vendibilità di parecchia romanzeria italiana contemporanea.

Non solo. Nel momento in cui Marzaioli mette in chiaro e in scena (o riporta) segmenti semi-irrelati o interrotti come “G si chiede spesso”, o “Ma. Lo dicevano in un film. Non puoi stare con il nodo stretto al collo tutto l’anno e in due sole settimane sperare che si allenti”, oppure “L vorrebbe non fare le stesse cose. Tornare al rinascimento. Svolgere un lavoro a fini umanitari”, dimostra di star usando con coscienza alcuni meccanismi precisi: una incisione/precisione di disegno che volentieri contrasta con lo sfumato e il non detto che pure la veicolano; una polverizzazione ed ellissi non solo di precisi soggetti grammaticali, ma a volte anche di verbi (“Se potesse i prepotenti”: frase interrotta così); una ironia e giocosità a temperatura non incandescente, non rabelaisiana, anzi fredda (“Prendere la bicicletta e andare verso est. Forse un corso di micologia”); la scelta di non esplicitare tutto, di non incatenare le frasi a una consequenzialità fissa/fissata, ma – pur mantenendo una griglia di attese di linearità – deviare regolarmente verso enunciati non previsti, anche se semplicissimi.

Proprio la semplicità, la limpidezza degli asserti nel libro rammenta altre strade interessanti percorse dalla collana ChapBook, come nel caso delle prose di Alessandro Broggi (Nuovo paesaggio italiano, Arcipelago, 2009). E pensiamo anche agli esperimenti di Gherardo Bortolotti (p.es. Tecniche di basso livello, èdito da Lavieri nello stesso anno). E, allo stesso tempo, qui in Marzaioli constatiamo come ogni frase, ogni voce presentata, esponga frontalmente invece, a differenza di scritture o prose in prosa di fatto analoghe, una peculiarità: una sorta di incavo, di mancanza centrale, un verbo caduto, un nesso temporale tolto, un soggetto fuori fuoco, un elemento di giunzione che sta a sé e non collega i frammenti, una vicenda sottratta e taciuta nel momento in cui ce ne aspetteremmo lo svelamento. Quasi a suggerire che il possibile momento o codice di verità di una voce (e forse di tutte le fasi) stia non in qualche report diretto, a sintassi già risolta e senza intralci, ma al contrario proprio nell’eco cava che la medesima voce genera frantumandosi, cadendo, mancando. Un po’ come il suono dell’acqua tradito dall’invisibilità della fonte.

 

Marco Giovenale

[testo uscito, con il titolo redaz. Giulio Marzaioli, brevi prose fuori sincrono, in
«il manifesto», 22 nov. 2011, p. 11. Qui leggermente variato e ampliato]

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