Marina Pizzi
Ci sono libri che desiderano spazio.
Più respiro.
Uccelli ubiqui come l’ombra
di uno stelo.
Luci sul filo ardente della mannaia.
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Poeta a grandezza naturale, come dire, senza alcuno sforzo Nicola Ponzio: un appunto di lavagna per i cómpiti di subito, la realtà, per sconfinare, però, ad orizzonte: da una lepre, da un’ombra, da un appunto, appunto: “Negli occhi meridiani / della lepre / sognare di parlare / dell’amore / con l’astore crudele e silenzioso.”
Versi di idee riferite alle ferite di una perdita singolare e collettiva atta, ormai, solo alla solitudine e al silenzio vissuti attraverso la misura di scaglie versatili di autentica credibilità. Così si apparta, partecipe, una cena, un angolo, un camino, una tovaglia: le cose si sminuzzano nell’infinito del simbolico filosofico ancora superstite nonostante sia avvenuta tutta la tragedia e il diorama dell’alunno non porti più alcun maestro.
La poetica si dichiara in una quartina: “Una poesia che non ci sappia provocare / si smentisce nell’alone / derisorio / di un pensiero inappetente.”
Poesia di ascesi laica calata in un disinganno senza buio, forte nella coscienza dell’immediato zero facente, guarda caso, proprio da Musa prediletta, grazia di stanza, spalancata o chiusa, che si conceda a ben pochi e con bene.
Si incontrano nell’umiltà del fenomeno fatto matrice dell’intera raccolta, questi improvvisi: “Meglio gli scacchi che esaltarsi / per le mezze verità dei merlettai. / Riannodano nel canto per se stessi / le parole dette piano agli impiccati.” Un trattatelo di etica a scapito di infamie o manuali meritori.
Ha, Nicola Ponzio, la saggezza esatta della parola esatta tale e quale una lezione conseguita in anticipo senza aspettare che si ponga in essere la furia o l’inedia della fine: sa e si basta con il servigio del visore privo dello strascico del castigo da consigliare o balbettare in chiusa d’indice.
Con un pensiero ben delineato in pochi lemmi qui si allinea un inventario di mosse allo scacco matto, saggio di sé in luce di sussurro lapidario.
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Voglio parole forti.
Concrete.
Simili ad un seme che s’infila
nella crepa
di una ripida parete di granito.
Marina Pizzi
[Recensione pubblicata sul sito “La poesia e lo spirito” il 14.3.2007]