Riccardo Donati

Plus je devrais être raisonnable, plus ma

maudite tête s’irrite et devient libertine

M.me de Saint-Ange ne La Philosophie dans le boudoir

Venire via dall’arte è una grandissima fatica

Corrado Costa, L’incognita borghese

 

Il s’agit d’une éducation…

«Costa ci raggiunge con un misurato ritardo, quando tutto sembra risaputo, e invece di Costa ci rimane tutto da sapere, ossia da leggere»: con queste parole uno dei maggiori poeti contemporanei, Andrea Inglese, ha recentemente reso omaggio al multiforme ingegno di Corrado Costa (1929-1991) in un notevole numero de “il verri” interamente dedicato al poeta di Mulino di Bazzano(1). La figura di Costa, «anima ludica ilare e distruttiva» come lo ha definito il sodale Nanni Balestrini(2), si colloca in una posizione di primo piano non solo entro il vastissimo alveo dell’esperienza neo-avanguardistica, ma anche all’interno di un’ideale «linea emiliana» della nostra letteratura, eccentrica e pungente, ironica e autoironica, che, poniamo, da Delfini e Zavattini giunge fino a Celati e Cavazzoni. Per questo duplice motivo, ha ragione Andrea Cortellessa nell’affermare che Costa non merita la riduttiva etichetta di “minore”(3): quella dell’autore di Pseudobaudelaire è una voce originalissima e dagli esiti rimarchevoli, oltre che una presenza intellettuale di non trascurabile rilievo(4). C’è un testo in particolare che ci sembra confermarlo, un’opera che ha tutte le caratteristiche del manifesto di poetica senza averne affatto l’aria, un libro di natura giocosamente sperimentale e intriso di spunti metaletterari, come ben testimonia il jeu de mots del titolo: La sadisfazione letteraria.

Questa aurea boutade, questa gaia rilettura patafisica della filosofia del boudoir, apparsa per i tipi della Cooperativa Scrittori nel 1976 e recentemente ristampata nella collana bilingue Benway Series(5), è a prima vista lontana anni luce dalla sensibilità di un lettore del 2015. Ispirato alle pratiche situazioniste di ripresa in chiave straniante e politicamente orientata delle culture alta e bassa più squalificate (l’abominevole Sade e il fumetto softcore di infimo livello), immerso nel peculiare contesto del dibattito culturale italiano di metà anni Settanta, La sadisfazione letteraria appare come un testo fissato entro un orizzonte socio-politico oggi tramontato, frutto di una civiltà letteraria ormai scomparsa. Eppure, crediamo che la sua stridente inattualità possa ancora parlare alla nostra contemporaneità, facendo attrito con i vuoti, le amnesie, gli astratti furori del presente e ponendo alcuni problemi nient’affatto anacronistici. Tra i quali, in primo luogo, la vitale necessità di non prendersi troppo sul serio. Non si creda tuttavia che questo bizzarro libercolo costituisca un mero divertissement, una giostra verbo-visiva priva di ambizioni euristiche. Al contrario. Il sottotitolo parla chiaro: Manuale per l’educazione dello scrittore. In linea con la miglior tradizione libertina, e nel solco di un’esperienza che Raoul Vaneigem aveva avviato già prima del Mai ‘68 – penso al Traité de savoir-vivre à l’usage des jeunes générations, apparso nel 1967 – il volume, che si presenta come un ibrido a cavallo tra il pamphlet, il testo teatrale e il romanzo libertino, ostenta apertamente la propria missione pedagogica, la propria natura precettistica. Protagonista dell’opera è infatti, nelle vesti di istitutrice di materie erotico-letterarie, la Madame de Saint-Ange de La philosophie dans le boudoir, che Costa richiama in servizio perché si occupi dell’educazione di un giovane desideroso di votarsi alle fatiche di Venere e ai cimenti di Apollo.

Il fatto che l’autore di Pseudobaudelaire partecipi al dibattito sui rapporti tra dimensione socio-politica e sfera creativo-intellettuale, così fecondo e animato nell’Italia del Dopoguerra, scegliendo Sade come punto di riferimento è assolutamente decisivo. Ma di quale Sade si tratta? Quando il libro esce, nella primavera del 1976, sono trascorsi sei anni dalla pubblicazione del saggio, geniale e misconosciuto, Inferno provvisorio, nel quale Costa proponeva una sua personalissima «critica della ragione sessuale»(6), e pochi mesi dallo scandalo del Salò pasoliniano, proiettato per la prima volta a Parigi nel novembre del 1975. La rappresentazione mortifera che di Sade, intorno a Sade, Pasolini ha appena costruito nel suo ultimo, tetro film – così come per altri versi è funerea la lettura che in quello stesso 1976 Federico Fellini offre del nostro più celebre libertino, Giacomo Casanova – è in quel momento la più in auge, ma assai poco congeniale al sentire di un autore come Costa. Niente di più lontano, dal suo pensiero, di un Sade per così dire post-francofortese, freddo automa spregiatore di ogni empito umano e precursore degli orrori nazisti. Il suo non è tuttavia neppure il Sade caro alla gloriosa tradizione lautréamontian-surrealista rappresentata da Bataille, Buñuel, Klossowski, fino a Barthes, autori che «hanno accettato la situazione di condanna, di disappunto, di disagio» nei confronti dell’opera sadiana «come una situazione positiva»(7). Costa respinge insomma tutte le consuete letture della figura del Divin Marchese, classificato e di volta in volta liquidato come un esteta morboso, un collezionista di psicopatologie, un rappresentante dell’humor noir, più spesso come il precursore di una categoria antropologica, l’“uomo sadico”, che porta dritta all’homo SS, all’aguzzino totalitario.

L’artefice de Il gran voyeur(8), che in un testo del 1975 cita Wittgenstein come fautore di una vitalità non vitalistica – «Non ci dobbiamo occupare più delle forme-della-morte ma delle forme-della-vita» – e sostiene un’idea di «poesia come lebensform»(9), legge semmai Sade come un raffinatissimo pensatore del “negativo” i cui testi erotici sono tanto più reattivi e stimolanti quanto meno si dimostrano consentanei alle pratiche “chiuse”, e perciò mortifere, del dogmatismo, dell’acquiescenza al potere, del ronron conformista e del chiasso (pretestuosamente) anticonformista. Sono del resto questi gli anni delle machines désirantes deleuze-guattiarane, gli anni in cui Emilio Villa (maestro/sodale del Nostro) conduce i propri sfrontati esperimenti di «sexorcisme» in opere provocatorie, “dissolte” e dissolute, come Hisse toi re / d’amour / da mou rire (romansexe)(10), ma anche gli anni in cui – facendo un piccolo salto in avanti – l’avvocato-poeta Costa, come ama definirlo Eugenio Gazzola, accetta di difendere dalle accuse di oscenità e blasfemia un giovanissimo autore di Correggio, tale Pier Vittorio Tondelli, portato alla sbarra per aver pubblicato uno scandaloso libretto dall’eloquente titolo di Altri libertini.

Une jolie fille ne doit s’occuper que de foutre et jamais d’engendrer

Il percorso di apprendistato creativo e intellettuale dell’aspirante scrittore protagonista de La sadisfazione letteraria passa per una attiva educazione erotica improntata all’economia libidinale sadiana, la quale, spiega lo stesso Costa nelle pagine di Inferno provvisorio, «lega il valore di scambio universale a un valore d’eccedenza assolutamente negativo, in modo allucinante e distruttivo»(11). Le licenziose lezioni di Madame de Saint-Ange insistono su un aspetto decisivo: la necessità di sovvertire la letteratura intesa come macchina riproduttiva, dedita cioè alla perpetuazione e al consolidamento dell’esistente sul piano politico, sociale, culturale. Si tratta di un punto sul quale merita soffermarsi, trattandosi di un elemento ancor oggi attualissimo, se il letterato contemporaneo agisce, oggi ancor più di ieri, quasi sempre come un mero riproduttore. Ma un riproduttore, questo il grande inganno, convintissimo della propria singolarità, sovente orgoglioso della propria originalissima rivolta. Presumendo di essersi lasciato alle spalle ogni ideologia, il letterato del nostro tempo, sia esso francamente reazionario o benintenzionato e progressista, immagina infatti di operare in una condizione di assoluta libertà, in una specie di vuoto pneumatico aperto a infinite possibilità espressive, laddove ogni suo gesto, ogni suo rituale creativo non fa che ribadire e confermare un ordine già dato, stringendo e non allentando le maglie del potere.

Costa è uno di quei rari autori convinti che trafficare con l’immaginario significhi sviare dal «falso itinerario» che conduce alla «riproduzione falsa della realtà inesistente»(12), scegliendo invece di «esercitare nella scrittura la critica e la negazione della realtà esistente», come scrive il più autorevole studioso della funzione-Sade nel Novecento italiano, Fausto Curi(13). Per dirla con le metafore sadiane presenti nel libro, un conto è accettare di concentrare, come fanno gli scrittori-riproduttori, il «nero liquido spermatico» allo scopo di fecondare la dea-Letteratura con la propria preordinata e preordinante soggettività, altra cosa è praticare la libera «eiaculazione» affinché la précieuse liqueur si perda «in modi indipendenti dalla nostra volontà» e talora «senza una costruzione narrativa, come succede sognando o ricordando»(14). Quella che Costa sollecita in questo suo plaidoyer en faveur de Sade è allora un’operazione letteraria che al «piatto meccanismo della riproduzione» opponga un’idea di scrittura svincolata dagli obblighi della forma, dalla codificazione di genere e dal feticcio dell’Arte e dell’Istituzione Letteraria, qui emblematicamente condensati nella figura di Alberto Moravia, apertamente svillaneggiata nel testo: «Oh – riflette M.me de Saint-Ange sovrapensiero – a proposito dell’incompetenza, non mi vorrete dire che Moravia, per esempio, non ha mai inculato un bambino?»(15).

La lezione che Costa ricava da Sade, dal magistero rivoluzionario della sua lingua, è che la rottura dell’ordine, la dissacrazione dei canoni e delle verità istituzionalizzate debba passare per uno sperpero, un eccesso, una assurdità, insomma per una dépense délirante: una concezione che ha due importanti mediatori in Baudelaire e in Rimbaud, poeta amatissimo da Costa e che troviamo citato in uno scritto polemico del 1964 rivolto non a caso contro un personaggio dalla soggettività trionfante come l’«auletico esibizionista» Pasolini. L’autore della Saison en enfer, osserva Costa, «chiedeva ai poeti una collisione con la realtà attraverso l’affermazione dei desideri»(16): si afferma qui l’idea che, giusti i trascorsi della dépense sadiana e del dérèglement des sens rimbaldino, l’opera d’arte moderna, cioè contestataria, debba essere concepita a imitazione del flusso vitale, debordante e incontenibile, debba cioè dis-funzionare come un ordigno célibataire creativamente votato alla débauche e all’autosabotaggio, simile in questo alle già citate machines désirantes deleuze-guattariane, le quali essendo alimentate “a desiderio” si rivelano del tutto inaffidabili, pericolosamente inclini all’eccesso:

Il racconto erotico ha “in più” la violenza illimitata del desiderio che tende ad uscire dal racconto. Non si può contenerla: se il racconto fosse un oggetto, l’oggetto del narrare, il desiderio se ne impadronirebbe. Ma il racconto è il desiderio stesso che si pronuncia: diventa illimitato […](17).

A questa logica dell’eccesso, a questa dialettica del “di più”, occorre per Costa affiancare un parallelo lavoro di sottrazione e de-potenziamento del gesto creativo. Di contro a ogni esprit populateur, il poeta emiliano parteggia per una letteratura de-creativa, come si legge in Storia di una storia non scritta (1974), caldeggiando la stesura di poesie che non siano poesie, di libri che non siano libri – il non-libro zavattiniano! – allo scopo di affermare «le ragioni del non-scrivere»(18). Lo stesso La sadisfazione letteraria si apre del resto su una non-descrizione – ma potremmo forse semplicemente dire: de-scrizione – del corpo di Madame de Saint-Ange:

Resteremo per tutta la durata di questo racconto […] completamente nudi e abbandonati. Il vostro corpo resterà così esposto nel non essere descritto!… a nessuno!… a nessuno!… il vostro bellissimo corpo! Anche la vostra ostentazione del nudo resterà così solo pseudo-nudità […](19).

Come osserva Gian Luca Picconi, l’agire de-creativo di Costa, un operare antinormativo votato allo scarto, al vuoto, all’affermazione delle forme non attuate, si incentra «su un principio di distruzione: distruggere il libro attraverso l’impersonalità, la negazione, anche dialettica, la commistione di vero e falso»(20).

Ecco allora che le ragioni dell’ispirazione libertina del libro si fanno più chiare: che cos’è infatti la scrittura per il Divin Marquis se non una forza mossa da un vitale potere di negazione e indirizzata verso una radicale critica dell’esistente? «Il mondo del piacere, nella sua ipotesi autarchica, si sviluppa verso la distruzione cieca, feroce, spasmodica dei suoi oggetti, dei suoi soggetti e delle sue merci, che è non possibile mettere in rapporto, fino alla distruzione stessa di ogni possibilità di racconto», si legge nelle pagine di Inferno provvisorio(21). Da questo punto di vista La sadisfazione letteraria è davvero un’opera fedele all’insegnamento del maestro settecentesco, basata sull’idea che la natura/la letteratura si affermi attraverso l’annientamento sistematico delle forme: «anche un generico esame sulle operazioni della letteratura non prova forse che le distruzioni sono necessarie, ai suoi piani, quanto le creazioni? […]. E che nulla nascerebbe e si riprodurrebbe senza distruzione?»(22). «Natura è come un bambino che disfa subito il fatto», scriveva il Leopardi dell’Inno ad Arimane(23), ma il punto è che tale impulso annichilente non è affatto “innaturale” come sembra: l’appareil sanglant de la Destruction di cui parlava Baudelaire è, semmai, il motore stesso della natura/letteratura, il modo in cui essa asseconda la vita lasciando che il flusso della materia si propaghi con la violenza illimitata del desiderio. «Come potrei offendere la letteratura», chiede nel secondo “racconto” un «giovane provocatore», «rifiutandomi di creare?»(24).

Voluptés criminelles: profaner les images

«Il racconto erotico», si legge nell’Inferno provvisorio, «trova [nel] desiderio di irrisione e di spregio la dimensione rivoluzionaria e la sua identità»(25). Il suo proprio è dunque denegare per via di eccesso e oltraggio l’autonomia della letteratura (dell’erotismo) rispetto alla sfera del politico. E poi, qualche pagina oltre:

La lettura sadica non è “figurale”: non presuppone e non anticipa niente: non lascia di sé nessuna immagine: è un’uguale geografia che si riproduce, quindi nessuna geografia; lo stesso personaggio che si ripete, quindi nessun personaggio; la stessa funzione, quindi tutte le funzioni(26).

Anche l’opera di Costa non è mai “figurale”, non ha mai un referente, non si propone mai come fine la mimesis: non è, insomma, mai interpretabile ed è invece sempre indisponibile a riconoscersi un qualche valore d’uso. È, letteralmente (letterariamente) inservibile rispetto alla duplice ingiunzione a rappresentare e imitare. Lo si vede bene ne La sadisfazione letteraria, dove il supposto valore “riproduttivo” delle immagini viene costantemente profanato. I disegni che corredano il libro sono infatti tutti estrapolati da fumetti erotici di infimo livello (anche da un punto di vista grafico), rielaborati in modo provocatorio e straniante con l’aggiunta di complesse forme geometriche e speech bubbles di sapore situazionista. Accompagnando tali figure con didascalie che programmaticamente non svolgono la funzione “di servizio” comunemente assegnata loro, Costa lavora su una degradazione e destabilizzazione dell’immagine che apre a un eccesso di senso.

Questa pratica de-figurante, che raggiungerà la maturità nel 1979 con gli esperimenti ludici de Il poesia illustrato, rappresenta una risposta diretta a quegli autori che, «dedicando lo sperma letterario alla riproduzione, riproducono solo false immagini dell’ideologia dominante»(27). Se infatti ogni immagine non è che «lo specchio nel quale la classe dominante fa vedere di sé ciò che vuole far apparire d’essere, e non è»(28), attraverso la manipolazione “alta” di fumetti scadenti Costa mima e insieme insolentisce, consegnandola allo sfregio della parodia, «la società della ripetizione, che è la società della riproduzione e dell’industria»(29). Queste figure insomma, al pari di alcuni passaggi del testo, costituiscono un atto di accusa, e uno sberleffo, nei confronti di quegli intellettuali di professione che fingono soltanto di opporsi alla «realtà esistente» mentre invece, respinta l’ipotesi sovversiva dell’oltraggio verbo-visivo, sfornano materiale meramente illustrativo, cioè falso e perfettamente conforme alle esigenze e ai diktat della macchina (ri)produttiva. L’intellettuale, spiega Madame de Saint-Ange,

una volta che gli sia stato garantito il suo ruolo, ha garantito il ruolo di colui che gode di più e sente di più […]. È colui che sa di più ed è perciò invitato quotidianamente a pronunciarsi di più nei dibattiti e nei giornali. È colui che è comprensivo ma che non ha competenza. Per questo la classe dominante lo stima e lo rispetta. E meno ha competenza di un problema e più è autorizzato a esprimere la sua comprensione(30).

Nei quattro racconti che formano il libro, la lussuriosa istitutrice sadiana mette in guardia il suo allievo aspirante scrittore non soltanto dai “virtuosi” sacerdoti del sistema letterario (tra i quali è sicuramente da annoverare Moravia), ma anche dai «puttanieri riproduttori del discorso di Sade»  (tra i quali sarà probabilmente da includere Pasolini)(31). Costoro, nelle parole di Madame de Saint-Ange, riprendono «il discorso liberamente libertino di Sade, esposto in senso non riproduttivo»(32), e lo piegano ai propri scopi fino a renderlo “produttivo”, ossia giustificato in senso utilitaristico,

con la scusa di far riconoscere la classe dominante nelle sue contraddizioni! Come se la classe che non riesce a vedersi potesse riconoscersi nelle sue contraddizioni! Che tormento!… la classe che non si vede vuol essere vista e basta! e vuole essere raccontata, salvo ciò di cui non si parla(33).

Quel che qui preme sottolineare è il modo in cui Costa mette a giorno gli ingranaggi più segreti di quella macchina superegoica che è l’Industria Culturale: l’agire degli intellettuali “anticonformisti”, di quanti evocano Sade solo per provocare reazioni di scandalo, muovendosi lungo le linee di una contestazione programmatica (politicamente e concettualmente preordinata, spesso contaminata da un’esperienza estetizzata del sé), non intacca affatto il «piatto meccanismo della riproduzione» e anzi lo alimenta. Il loro comportamente aggressivo ritualizzato è il discorso di un membre, di un vit che si afferma dicendo “io”:

«Il cazzo è diventato il Soggetto del racconto, in mano a questi manipolatori della riproduzione.»

«Ah! Sì. Sì. Sì. – dice M.me de Saint-Ange – E così il racconto, invece di diventare il racconto del Soggetto è diventato il racconto del cazzo […]»(34).

L’ego/cazzo degli scrittori-riproduttori equivale in tutto alla «virilità sovrana» dell’“aquila” di marxiana memoria, la quale vola alta nei cieli affermando l’«idea allo stadio aggressivo», cioè l’imperialismo rivoluzionario(35): nel che, ogni carica autenticamente eversiva si annulla, mentre subentra un nuovo, acquiescente status conformistico. Queste «strane creature artistiche», rincara la licenziosa signora, pronte a dar scandalo per «dimostrare d’avere il coraggio di sacrificare, al servizio della classe dominante, la considerazione che questa classe finge di togliere loro ingiustamente»(36), sono in realtà amatissime dalla società, per la semplice ragione che le sono assolutamente necessarie: lungi dal minare il suo ordine, la “trasgressione” che ostentano, l’utopistica «ragion sensuale» che sbandierano(37), le serve di fatto come supporto fondamentale. Semplicemente, la società si limita a neutralizzare ogni tentativo di «dare un contenuto alla sua ideologia» opponendo loro «un’ideologia senza nessun contenuto»(38). Questo è vero oggi ancor più che quaranta anni fa: l’ideologia corrente non subisce di fatto alcun trauma da coloro che, «fingendo di oltraggiare la letteratura, spargono il loro nero seme fuori dai vasi riproduttivi e chiedono di offrirlo alla classe dominante, perché lo contenga nel suo vuoto ideologico»(39), ovvero da quanti, lungi dal sottrarsi al proprio compito riproduttivo, collaborano a perpetuare, insieme col sé e attraverso il sé, il discorso generale, quel che Gabriele Frasca chiama il «niente tace» della letteratura(40).

Se Sade ha ancora oggi una funzione, agli occhi di Costa, non è dunque quella di rappresentare una fonte di ispirazione per scrittori che aspirano allo scandalo, ma nell’aver immaginato l’opera creativa come un congegno demistificatorio, non programmato per riprodurre un ordine dato, ma anzi al contrario per sottrarsene de-creando.

Répétant les attitudes en mille sens divers, elles multiplient à l’infini les mêmes jouissance

Costa vede dunque nell’autore delle Cent Vingt Journées una figura che occupa una posizione a lui vicina: Sade son prochain, per dirla con Klossowki. Naturalmente la parola posizione, l’attitude dei débauchés, è qui impiegata nel doppio senso erotico e politico che il poeta le attribuisce: tutti gli incontri tra Madame de Saint-Ange e il suo allievo si incentrano infatti sul problema di trovare “posizioni” adeguate al godimento fisico e intellettuale, posizioni che Costa descrive nei minimi dettagli, giocando molto sul tema della rifrazione e dello sdoppiamento(41). Né si dovrà dimenticare che un testo di poco precedente, considerato una tappa fondamentale nel suo percorso autoriale, si intitolava Le nostre posizioni (1972)(42). Quella del poeta emiliano non è tuttavia, si badi, la postura di chi intenda sottrarsi alle proprie responsabilità. La peculiarità del suo lavoro consiste semmai in una sorta di mossa del cavallo che, escludendo la comoda via dell’impegno – che è per lui, lo si sarà capito, un altro modo di perpetuare la riproduzione sceglie invece di percorrere l’impervio sentiero della protesta virata all’impertinenza, all’oltraggio ilare e feroce, serissimo e clownesco, dell’esistente(43). È questo, credo, l’insegnamento che Costa ci lascia con La sadisfazione letteraria, e in fondo con tutta la sua opera verbale, visiva e sonora: l’idea che l’attività creativa sia tanto più genuinamente eversiva, tanto più corrosiva dello statu quo, quanto meno è controllata nelle intenzioni e negli effetti, quanto più deborda e si abbandona ad eccessi e spinte dissacranti.

Come sostiene il cameriere che fa la sua comparsa nell’ultimo brano del libro, e che poi si rivela essere Adriano Spatola, ogni artista affonda «fino al collo nelle sabbie mobili della morale del suo tempo», e lo scrittore contemporaneo in particolare si trova a vivere in un’epoca in cui «da ogni parte lo si invita ad accontentarsi di recitare la sua parte di burattino»(44). Per sottrarsi a tale rischio, il poeta nouveau libertin dovrà avere il coraggio di «infilare un messaggio killer nel sistema letterario»(45), negandosi e sottraendosi ai propri compiti istituzionalmente dati.

Poesia è per Costa questo doppio movimento di una langue perfide (Rimbaud) che sfregia l’ingiunzione procreativa nel mentre che si sottrae, sparisce, si dissolve dietro e oltre il testo. Poesia è rivendicare per il soggetto il diritto all’ablazione e il dovere di praticare la «contestazione di se stesso»(46); poesia è venire via dall’arte (L’incognita borghese citato in esergo), ovvero «venir via dalle cose»(47); poesia è fare «il calcolo di ciò che manca» basandosi sul «rapporto fra chi parla e il molto meno che dice»(48). Poesia è, ancora, il fumo di sigaretta, che si vede, soffiato fuori da una bocca che non si vede, perché il poeta è l’uomo invisibile, il vuoto di un pieno che solo il suo non-esserci autorizza(49). Poesia è insomma, al suo grado ultimo, nient’altro che un effimero flatus vocis, quello emesso da Costa nella celebre registrazione audio retro, «gesto estremo della sottrazione» come scrive Milli Graffi(50). Solo a questa condizione, quella di rendersi invisibili e inafferrabili, sa-disfacendosi di sé e dei serrati congegni riproduttivi della Letteratura, al poeta sarà data ancora una possibilità per vivere:

Così non essere legati ad un contesto – contestare

così non aspettare revisione – restare condannati

così fuori tribù, fuori scheda o catalogo – essere salvati

 

come se dio nascesse preghiera per preghiera

come se ogni ostaggio impugnasse la storia

come se ogni sillaba contestasse il poema.(51)

 

(già apparso su “L’Ulisse”, n. 18, 2015)

 

Note.

(1) A. Inglese, Cine-Costa, in “il verri”, lviii, 52, giugno 2013, p. 186.

(2) Così nel testo-omaggio Corrado Costa il grande evasore ivi, p. 59.

(3) Cfr. A. Cortellessa, Il retro della poesia in C. Costa, The Complete Films. Poesia Prosa Performance, a cura di E. Gazzola, con un’antologia multimediale a cura di D. Rossi, prefazione di N. Balestrini, Firenze, Le Lettere, 2007, risvolto di copertina.

(4) Per un panorama complessivo dell’opera di Costa si veda il bel volume di I. Rossi Poesia oscura con presa: leggere Corrado Costa, Reggio Emilia, Consulta, 2013.

(5) Cfr. C. Costa, La sadisfazione letteraria. Manuale per l’educazione dello scrittore, Roma, Cooperativa Scrittori, 1976; la nuova edizione, con traduzione inglese di Paul Vangelisti, è apparsa per la Tielleci «Benway Series» nel 2013.

(6) Cfr. C. Costa, Inferno provvisorio, Milano, Feltrinelli, 1970. Il libro è a sua volta una rielaborazione di articoli apparsi sulle riviste d’avanguardia “Marcatré-Malebolge” e “Quindici”.

(7) Ivi, p. 34. Più congeniali al sentire di Costa ci paiono essere il Debord di Hurlements en faveur de Sade e il geniale Marquis di Roland Topor, che però viene dopo, essendo stato realizzato nel 1989.

(8) Si tratta di un libro-oggetto realizzato con William Xerra nel 1971.

(9) C. Costa, Lettera a Tam Tam in The Complete Films cit., p. 159.

(10) Lo si legge ora in E. Villa, L’opera poetica, a cura di Cecilia Bello Minciacchi, postfazione di Aldo Tagliaferri, Roma, L’Orma, 2014, pp. 381-398. Sarà poi da menzionare il volume a paso doble Il Mignottauro (Corrado Costa per Emilio Villa) e Phrenodiae quinque de coitu mirabili (Emilio Villa per Corrado Costa) pubblicato da La Nuova Foglio di Pollenza nel 1971. Si ricordi inoltre che nei primi anni Ottanta Costa realizzò, per conto delle edizioni Pari&Dispari di Cavriago, degli oggetti d’arte, ludicamente allusivi, dal titolo L’erotismo.

(11) C. Costa, Inferno provvisorio cit., p. 61.

(12) C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 32.

(13) F. Curi, Struttura del risveglio. Sade, Sanguineti, la modernità letteraria, Bologna, Il Mulino, 1991, p. 56.

(14) C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 21.

(15) Ivi, p. 31. La formula «piatto meccanismo della riproduzione» (ivi, p. 10) ricalca, come altre espressioni presenti nel libro, l’originale francese: ne La philosophie dans le boudoir si parla infatti di plat mécanisme de la population.

(16) C. Costa, Pier Paolo Pasolini, l’auleta esibizionista, in “il verri” cit., p. 20 (testo originalmente apparso su “malebolge”, 1, 1, 1964).

(17) C. Costa, Inferno provvisorio cit., p. 71.

(18) C. Costa, Storia di una storia non scritta (1974) in The Complete Films cit., p. 153. Vengono in mente anche le «cose non scritte» che figurano in un verso di Autocritica (ivi, p. 25), oltre al racconto L’equivalente, pubblicato da Scheiwiller nel 1969 in una collana significativamente intitolata “Denarratori”.

(19) C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 9.

(20) Gian Luca Picconi, nota introduttiva a Entorse: Guerra e morte, “il verri” cit., p. 37 (si tratta di un testo pubblicato per la prima volta in “il Caffè”, 4-5-6, 1973, pp. 75-76).

(21) C. Costa, Inferno provvisorio cit., p. 64.

(22) C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 17.

(23) Come la natura, così la letteratura non ha a cuore i propri figli, che schiaccia senza pietà: «Cosa le importa che intere stirpi di generi letterari si estinguano o si annullino sulla terra! Ride del nostro orgoglio di esseri convinti che sarebbe la fine dell’arte se accadesse ciò! Ma lei nemmeno se ne renderebbe conto! Pensate quanti generi si sono estinti e la letteratura, muta di fronte a questa perdita così preziosa, non ci bada proprio! Se veramente una buona volta morisse l’arte e se tutta la scrittura si annullasse, né il discorso sarebbe meno puro, né il racconto meno brillante!» (ivi, p. 22).

(24) Ivi, p. 18.

(25) C. Costa, Inferno provvisorio cit., p. 28.

(26) Ivi, p. 33.

(27) C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 35.

(28) Ivi, p. 35.

(29) C. Costa, Inferno provvisorio cit., p. 121.

(30) Cfr. C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 28.

(31) Ivi, p. 32.

(32) Ibidem.

(33) Ibidem. Nell’Inferno provvisorio Costa cita esplicitamente, come esempi di una scrittura erotica non destabilizzante, i «facili titillamenti» di Penna e il Pasolini di Una vita violenta, il cui «stile levis», la cui lingua abbassata, volontaristicamente antiborghese, innesca a suo dire «una polemica che dovrebbe far paura e funziona solo a livello di loschi sottintesi» (C. Costa, Inferno provvisorio cit., p. 43).

(34) C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 31. L’espressione «comportamento aggressivo ritualizzato» è di Costa, ma presa a prestito dall’amico etologo e poeta Giorgio Celli: cfr. Inferno provvisorio cit., pp. 21-22.

(35) «L’aquila», scrive Costa con allusione a Bataille che a sua volta cita Marx, «si alza nelle ragioni radiose del cielo solare […]. La virilità dell’aquila è dimostrata dal becco uncinato e tagliente. La virilità sovrana trancia tutto ciò che entra in concorrenza con lei e non può essere tranciata a sua volta. L’aquila contrae alleanza col sole, che castra tutti quelli che entrano in conflitto con lui […]. L’aquila è l’imperialismo e l’idea allo stadio aggressivo, non astratto» (ivi, p. 11). A questa aquila trionfante si contrappone naturalmente l’immagine della “vecchia talpa” (Der alte Maulwurf) che scava nei meandri del sistema, nelle viscere materialiste della realtà.

(36) C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 35.

(37) C. Costa, Inferno provvisorio cit., p. 23.

(38) C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 32.

(39) Ivi, p. 36.

(40) Cfr. Gabriele Frasca, La lettera che muore. La “letteratura” nel reticolo mediale, Roma, Meltemi, 2005.

(41) Il tema del “doppio” è alla base dell’intera opera di Costa, e la figura dello specchio ritorna sovente nei suoi testi. In particolare, il primo dei racconti de La sadisfazione letteraria è una riscrittura in chiave sadico/libertina del celebre episodio dell’incontro di Alice Raikes con Lewis Carroll/Charles Dodgson, già citato in esergo di un paragrafo di Inferno provvisorio (cfr. rispettivamente C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 14 e Inferno provvisorio cit., p. 106).

(42) Penso ad esempio a un componimento come I migratori disorientati: «il vento sta appoggiato sulle mani /// // il mento / col nube sotto le lenzuola sta sotto /// // col pube / il dorso con i suoi teneri denti /// // il morso con i suoi teneri denti / corre / lungo il filo della pena» (C. Costa, Le nostre posizioni (1972) in The Complete Films cit., p. 73).

(43) Ricavo la distinzione tra impegno e protesta dall’illuminante recensione di Adriano Spatola a Pseudobaudelaire (ora ivi, p. 285).

(44) C. Costa, La sadisfazione letteraria cit., p. 51. Vale la pena ricordare che nel 1967 Adriano Spatola aveva tradotto Le disgrazie della virtù per l’editore Sampietro di Bologna.

(45) C. Costa, È lo stesso, anche se non è lo stesso, in I minimi sistemi e altre storie, a cura di Eugenio Gazzola, Parma, Diabasis, 2014, p. 86.

(46) C. Costa, Inferno provvisorio cit., p. 16. Il poeta non disposto a contestare in primis se stesso, nota Costa, «tende a conservare il proprio posto, il proprio livello sociale, la collocazione privilegiata d’intellettuale» (ibidem).

(47) C. Costa, Il territorio alle spalle (1973) in The Complete Films cit., p. 87.

(48) C. Costa, Lettera a Tam Tam, ivi, p. 159.

(49) Così interpreto la figura dell’“uomo invisibile” che ricorre nei testi della raccolta The Complete Films del 1983: non come una mera citazione cinematografica, o un’invenzione che consente arguti equilibrismi logico-immaginativi, ma come un alter ego del poeta stesso. Anche Sade, d’altronde, non è che un inafferrabile uomo invisibile: «Non è un caso che di Sade non rimanga neppure un ritratto e le testimonianze sul suo aspetto fisico siano contraddittorie. Così come non rimane un ritratto degli uomini che descrive» (C. Costa, Inferno provvisorio cit., p. 34).

(50) M. Graffi, Sulla traccia del boomerang di Corrado Costa, “il verri” cit., p. 142; su questa opera si veda anche A. Cortellessa, Corrado Costa, il retro della poesia in Corrado Costa. Le apparizioni dell’uomo invisibile, a cura di E. Gazzola, Milano, Mazzotta, 2009, pp. 19-21.

(51) C. Costa, Ancora una possibilità per vivere in Pseudobaudelaire (1964) ora in The Complete Films cit., p. 29.

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