Eravamo in treno quando ho finito di leggere Noi. Eravamo in treno. Alessandro Broggi. La sua energia che. Sono convinto ci sia una sorta di intreccio tra le coscienze anche distanti. Non si spiega come mai proprio il giorno in cui finisco di leggere. Il momento esatto in cui arrivo alla pagina finale. Una grossa nuvola sposta la luce e il sole mi cattura. Accecandomi dentro. Nella sincronicità dell’atto. Ho letto altro di Broggi che esce per Tic edizioni con questo nuovo libro. Il terzo della collana UltraChapBooks. Ma Noi: 72 prose divise da quattro cesure esprimono il dettato fatto di intrecci e segni provenienti da altri testi in cui si procede «senza più curarci di formulare asserzioni conformi, di trasformare questi lineamenti brulicanti in tracce di teoria locale.» Alessandro Broggi è il mezzo attraverso cui tutto il resto si palesa agli occhi del lettore. La natura mi ricorda Ponge e anche Thoreau. La visione dell’altro dall’altro. Nella dispersione dell’io in loro «Se come sembra la coscienza di ciascuno si sviluppa attraverso la coscienza di tutti». Chi sono noi in Noi? si ha spesso la tendenza a affrontare un testo, pensandolo, non si riesce a vedere, a meditarlo «del resto i nostri pensieri stanno creando noi e la nostra vita» e allo stesso modo viviamo la vita che ci attraversa da un’intenzionalità che supera la stessa essenza dell’esistere, non sappiamo che «corriamo dietro a bolle di sapone.» E noi, noi lettori, noi lettrici, siamo certi di quello che stiamo leggendo? di quello che ci sta accadendo mentre, nel mio caso, il treno trascina paesaggi e gli occhi scorrono nell’immaginaria passeggiata dei quattro soggetti di Noi: «Eleonora Whitt, Maurizio Sabona, Norberto Orci, Tania Mojeri. “Come se fossero noi”, come se fossimo loro» e noi, aldiquà della pagina, possiamo separare senso e desiderio in quello che facciamo, in quello che leggiamo? Broggi s’interroga, c’interroga: «Possono davvero separare il loro senso della storia da quello del desiderio? Sono certi di disporre di dati sufficienti per comprendere ciò che stanno raccontando?»
Non è retorico speculare su questo rispecchiamento, noi che leggiamo loro che agiscono dalla pagina, affacciati sul mondo, inconsapevoli di agire il nostro momentaneo assentarci al mondo che siamo in quanto mondo nel mondo. Eppure, noi e loro, «siamo reciproche conseguenze.» La trama di quello che stiamo leggendo è proprio questo: continuo interfacciarsi con l’ambiente. Noi siamo, è, un luogo. L’altro è un ambiente dal quale non possiamo considerarci separati. La difficoltà è che siamo immersi, invece, nel mondo dei confini, delle linee separatrici. Confinati nelle false idee di dentro fuori. Non c’è nulla di nuovo nell’asserire che il respiro è «la nostra musica e il movimento è la nostra danza». Ma come sentire tutto questo essere al centro di qualcosa che non medita confini? Parte di un fluido, di uno stesso contesto. Come scriverlo? Come si colloca Broggi rispetto a questo agito? Broggi non scrive. Egli è scritto, e sparisce, esperisce, trasmettendocene le vibrazioni, la propria danzante sparizione. Broggi è un luogo in cui accadono gesti di inchiostro sullo sfondo epocale e attimale di una paginetta. Nulla è predisponibile e la scrittura non è preceduta dal piano orizzontale degli eventi: il cammino di Noi si va facendo mentre si va scrivendo, il Reale torna a irrompere e l’immagine vi si adegua. Scriverne è già un atto di conoscenza. Meditando il vuoto che si andrà a empire di altro vuoto. Ma c’è troppo Io in questo scrivere l’errabonda evoluzione del testo-dettato di Broggi: «non c’è alcun essere preesistente dietro al fare, all’agire o al divenire». E tra le due parole, questi spazi bianchi sono pausa. Che non preesiste e che crea il luogo che il nostro stesso sostare ha prodotto. La difficoltà della lettura, in certi passi, come la difficoltà di vivere, in certe risacche stanche del senso di irrealtà, sta proprio in questo: non comprendere che è da noi che si produce l’oscuro e la luce, la gioia e la malattia. In noi il nostro desiderio ci fa processi ma, illusi dalle ombre della razionalità, sosteniamo di scontrarci con il pre-disponibile. Invece no: «le nostre azioni producono ciò che assumeremo come preesistente». Il paesaggio di Noi è questa contingenza «fiancheggiata da creste di limoni ed eucalipti, ammantata di verde», lo scorrere del paesaggio oltre il finestrino di questo treno vi risponde mediandomi. Così è questa lettura, riscrittura del mio passaggio interiore: il passaggio è il paesaggio, il transistor che fa funzionare è il transitorio: «niente di pesante, niente di immobile, nulla di definitivo.» Pura corrente. Vibra di gioia. A passeggio col mondo. Nel mondo. Lettura che ci dice la difficoltà di apprendere l’ovvio. Anche questa annotazione è forse inutile al pensiero, sentiero limpido, al pensiero che è tale perché emerge dal vuoto creativo condiviso. Profumano. Respiriamo le onde elettromagnetiche. Le cavalchiamo noi, fatti di frequenze. In misure prossime a svanire nel confuso dondolio che dona gioia. Molecole. Particole, particelle, particolarità del tutto. Tuttalità. Sono prossimo a scendere. Il treno rallenta. La fermata mi coglie al punto dell’ultima prosa. Appena il tempo di rileggere le parole di Tania: «là fuori non c’è dolore, non c’è un io separato che vive questa vita, perché questa non è la nostra vita ma vita che vive attraverso forme sempre diverse, eppure equivalenti». Questo è così semplice che temo di comprendere. Eppure non c’è bisogno di sapere. «Ci sentiamo pronti per ridere»: il mondo è questo e lo ami-amo Noi.