di Stelvio Di Spigno
“Ballate di Lagosta“ è il secondo libro organico di Christian Sinicco, edito da Donzelli nei primi mesi del 2022. L’opera si presenta composita, multidirezionale, sorprendente per il numero di presenze umane che dialogano con un paesaggio ora nativo ed epifanico, ora corroso e morso dagli orrori della Storia. Se il tono di fondo appare contemplativo e quasi metafisico, le sciabolate improvvise e la metaforizzazione antropologica sono la vera permanenza concettuale di tutto il libro, piuttosto che i cicli del tempo e l’erosione della memoria, che pure sono presenti. Notevole è anche l’impegno dell’autore verso le catastrofi del Mediterraneo che hanno come protagonisti i migranti, vissute in prima persona – non potrebbe essere altrimenti – da un efficace scopritore del lato più pubblico e tragico del proprio rapporto con l’oggettività di ciò che è fuori e altro da noi. Un libro solido, affascinante, abbagliante, che consiglio (a tutti i lettori che incrocino quest’intervista) di leggere. (SDS)
L’uomo è la permanenza, in questo libro, vero?
Non sappiamo cosa sia la permanenza, ma ho immaginato e poi costruito in Ballate di Lagosta un discorso sull’uomo per provare a superare la tracotanza e i sistemi di potere contro cui resistiamo noi persone comuni, ispirate dalla bellezza della vita. In questo senso le comunità dei vivi e, attraverso la memoria, i morti, si uniscono per arginare le ingiustizie, a loro volta portate dal vento delle notizie da ogni dove. I personaggi che animano le poesie discutono degli effetti delle guerre, di ciò che il capitalismo è riuscito a fare nel lavoro o per mezzo delle oligarchie bancarie. Alcuni di questi testi sono invocazioni alla resistenza: la cultura unita alla sensibilità e all’empatia può svolgere un ruolo attivo nelle coscienze, e quando parlo di “male” si sente sia l’eco del peccato biblico che l’hybris della tragedia greca… L’antefatto è nella società mondiale attuale, trincerata nei sistemi economici e negli interessi di parte, che non riesce a fornire una risposta che non sia distopica. Se inizialmente nel libro, dove una processione si conclude in un cimitero, avverto che non c’è un angolo per amare, nell’ultima poesia mi rivolgo a un interlocutore in modo che, ogni giorno, custodisca gli spazi vuoti colmandoli con la vitalità, di progettazione verso ciò che è vita, nonostante “l’erosione della memoria”.
Come nasce la tua nuova raccolta rispetto ad Alter?
Alter, uscito per Vydia editore nel 2019, nasce nel 2001, ma non è una raccolta completa: manca tutta la terza parte. Si parte con l’apocalisse della civiltà e si “conclude” con la nascita dell’androide e del suo linguaggio, con l’assimilazione delle emozioni e l’autoriconoscimento di ciò che è una unità tra la molteplicità degli stimoli della realtà. In quest’opera affronto i risvolti filosofici del posthuman e, in parte, la prospettiva ecologica. Ballate di Lagosta è stata scritta a partire dal 2006 ed è stata pubblicata da Donzelli editore nel 2022. Può sembrare paradossale, ma le due opere sono scritte in parallelo, con processi formativi, argomenti e obiettivi diversi, che hanno plasmato in modo divergente i libri, ma c’è un punto in comune, la discussione sull’uomo e sulla Storia, fino a immaginarne i possibili epiloghi.
La Storia che si vede nelle Ballate è immersa nella contemporaneità, nel racconto delle migrazioni e nel raccoglimento, nell’apertura di uno spazio per accogliere… In Alter siamo in presenza di un essere che allo stesso tempo è fine e principio e si confronta con il molteplice e la Storia, mentre nelle Ballate l’alfa e l’omega vengono rappresentate dall’invocazione all’umanità, in quanto comunità, per riconoscersi in tutto ciò che è vitale e profondo, per darsi una prospettiva e osservare dei cambiamenti, anche in relazione alla Storia e con tutto ciò che ci viene raccontato dai media.
Chi è l’altro nella tua poetica?
Sono io, sei tu, siamo tutti. “Io” perché il fare poetico provoca differenze nella percezione, al punto che il concetto di sé può riconoscersi nella molteplicità dei simboli e nelle metafore, in questo costante movimento e ricerca di relazioni. Il messaggio della poesia desidera ridefinire il rapporto con te, con la società; propone e provoca differenze: possiamo osservare nuovamente noi stessi e direttamente o indirettamente le risposte che si innescano hanno a che fare con la società.
Cosa ci salverà? C’è salvezza nell’uomo e per l’uomo?
Nelle Ballate uno dei personaggi, Ante, strappa le stelle all’alfabeto dell’universo per poter rifiatare dopo un giorno di battaglie o di balli terminati, e canta un incanto che è morte, ma è ancora un uomo vivo, come sono vivi e reali gli altri personaggi. Posso solo chiedere di non fermare il canto; che sia un canto di dolore, per le tragedie, o quello della bellezza e della gioia. Possiamo non fermare il nostro canto.
A differenza di Alter c’è molta più costruzione nelle Ballate, o sbaglio?
La tua domanda vuole affrontare la complessità della formazione di un’opera di poesia, quantificando il lavoro e la sua stratificazione nel tempo, ma la poesia è un risultato inaspettato e diacronico.
La poesia non è nemmeno al servizio del poeta, ma è quella traccia dell’esistenza che fuoriesce dal linguaggio e dall’ideazione: ogni volta, quando penso di averla trascritta, quasi da un sogno, da un’apparenza, mi interrompo, perché è il momento in cui la consegna avviene, o almeno credo possa avvenire… “siete voi questi sogni che pensano l’esistenza,/ le idee, e poi Il sole gela questo rituale/ sui vetri e le inferriate che si sono incendiate/ sull’altare che rima la stessa litania”, ho scritto nelle Ballate di Lagosta nella poesia Prima della processione: qui si può notare da un lato il pensiero su ciò che accade con la poesia, se vuoi anche la retorica, e dall’altro il messaggio consegnato dal testo, che sono uniti, in modo circolare, ma non so quanto tempo o quanta costruzione sia necessaria. I poeti lavorano sempre sulla stessa ipotesi, quella che tentano di ridefinire, che la costruzione non finisca, perché la poesia così si trasmetta. Sarà che il presente della poesia è il futuro, ciò che porterà all’ascolto.
Come nasce l’ultima parte del libro?
Ero completamente assorbito da ciò che accadeva nel Mediterraneo. Questa continua morte e affogamento, i flussi dal Medio Oriente e dall’Africa, e il silenzio della nostra comunità e civiltà. L’Europa costruita dopo i crimini delle guerre mondiali, di nuovo con le orecchie gonfie e chiuse, e l’Italia politica quasi sorda, volutamente impotente, con i media interessati al Papeete delle notizie. In quel momento sentivo che dovevo consegnare una richiesta di ascolto a qualcuno, con la poesia, ma non potevo fare a meno di esplicitare, senza mascheramenti, quello che sentivo e vedevo, che era anche motivo di discussione giornaliera con le persone, al bar o al lavoro, sicuramente più sensibili dei politici. Un giorno mi ha chiamato Elisa Donzelli: abbiamo parlato a lungo dell’opera, e mi ha detto che mancava qualcosa, e siamo stati trasportati a discutere su quel vortice della nostra civiltà, anche poetica, che si trova sul Mediterraneo e che abbiamo dimenticato di ascoltare. Ho avuto conferma che era da “gli spazi vuoti da custodire”, da quel vuoto attivo e ricettivo, che dovevo ripartire, affondando la poesia nella nostra recente Storia e di nuovo nel senso dell’opera, nei dimenticati dai potenti che chiedono di vivere e di potersi costruire un futuro. Poesie come spariti nelle onde, l’isola è un uomo o e tu tornerai ogni giorno all’alba parlano della necessità di continuare a fare questa poesia, che è crescita consapevole, con tutto ciò che abbiamo e che possiamo mettere in campo.
Pensi di aver esplicitato un’etica? A quale sistema morale fai riferimento?
Il movimento della posidonia, la natura unita dalla metafora con l’umanità, il radicale rifiuto delle superstizioni e rigidità, e il dialogo con l’altro, che parte dal nutrimento di se stessi con ciò che è amore e bellezza… Qualcuno avrà trovato in Ballate di Lagosta anche qualcosa di biblico o evangelico, o una citazione da una poesia di Saffo, dalla delicatezza nell’utilizzo dei simboli alla ricettività: analogamente a quanto accade nelle pratiche religiose, la poesia attira le interpretazioni, è un riferirsi al sentimento più profondo di comunione con la vita, pure se a scrivere una ballata è François Villon.
Mi viene da pensare a tutte quelle culture che declinano il termine poesia con il sentimento di appartenenza all’esistere. Se da un versante le comunità, attraverso la cultura e la memoria, ospitano i semi di questa “vita più bella” che è poesia, la possibilità di realizzarla non è scontata. Basta osservare in che modo vengono utilizzati i simboli e la parola poetica religiosa nei conflitti, all’opposto del messaggio di partenza. Con ciò voglio intendere che sarà il filosofo a trovare l’etica e la morale. Per quanto mi riguarda, continuo sulla via della poesia.
Nei minuti di una pubblicità
ho i miei figli sepolti nel mare
e un abisso alle porte:
la pelle nera e le mani allagate
strette alla fine alle alghe –
diciannovemila uomini in sei anni,
diciannovemila preghiere bianche
e nessuna azione, nessuna risposta
questa dimmi è la nostra società,
questo dimmi fa parte della crescita?
siamo state noi queste
radici nella sabbia,
le gabbie e i rifugi per l’orecchio,
un deserto sonoro –
come non seppellire
diciannovemila uomini in sei anni,
diciannovemila menzogne bianche?
in questo dimmi c’è qualche verità,
in questa dimmi che è solo cronaca?
Ballata di Marija
fiorì la madre tra il finocchio e i suoi angeli gialli
fioriscono in processione a due a due uomini e donne
è fiorita la valle prima di quel suono di campane
il 15 agosto si staglia da secoli nelle pietre, ora e sempre
sul sagrato e poi giù per le case e le scale
sulla bella di notte c’è ancora il tramonto di ieri
e di tanto in tanto il paese chiama Marija,
i pistilli ubriachi, le semenze di tomba
i campi di Lastovo il colibrì li ricorda
come covo di pirati – pare che nulla cambi
così con la squilla ti batti il petto
e il mare è il suo sarcofago e il ritmo
quale giorno sia, smemorato arrivi alla chiesa
quanti giorni sei stato nei sogni e ti sei fatto sorprendere?
è questa la sveglia: lo sanno il prete,
i cesari, la campana e la valle
e il medioevo alle spalle inanella i vitigni
se la processione andasse più su
penderesti dalla forca dei perdimenti nel forte francese
Marija non lo sa, e mi ha accolto lo stesso
Marija è vestita di porpora e si prepara alla festa
è una madre fiorita nel cuore di un’isola
petali di bouganville la processione calpesta
scendendo al cimitero, salendo di nuovo alla chiesa
Marija è in ogni mattina e intona l’universo nei salmi
come il cemento della strada si è sparsa nel punto delle cose
è la voce del mio silenzio finalmente rapita
con una viola tra i capelli e sulle rughe
*
la piccola spiaggia
si è colmata con la marea,
posso vedere tra il mio male
e la bellezza, il nostro male
e tutta la bellezza;
poi i segni invadono
e mi osservo nell’inondazione:
vorrei sapere cosa sono
i cicli della Luna,
come un’ascensione
nella gioia, nei chilometri
da conquistare all’universo
*
l’isola è un uomo,
il suo cuore l’estasi e la sua lingua
estesa ovunque, liquida,
ma dopo la tempesta
i colori dell’erba sono bruciati,
il paesaggio si è raffreddato
e ha spinto un vento ignoto
il ciclone dell’inverno tra le barche,
e nessuno ricorda
le parole disperse sul cielo nero,
i nomi morti nel Mediterraneo
*
e tu tornerai ogni giorno all’alba
con gli spazi vuoti da custodire:
tra le pietre scolpite
la linea della costa
sarà mutata, ed io non saprò
di te, se ti tufferai
o scenderai tra i gradoni
di calcare e poserai
sopra la posidonia
la tua sagoma di uomo
che continuerà a muoversi con le onde,
che continuerà a crescere dopo di me,
dopo la mareggiata
e l’erosione della nostra memoria.